La sindrome della crocerossina

In molte coppie è possibile osservare una dinamica relazionale molto particolare: la sindrome della crocerossina o dell'io ti salverò. Vediamo come funziona e da dove nasce.


la sindrome della crocerossina. Quando nella coppia un partner cura l'altro

L’amore può tutto, si dice spesso.

Non sempre, a volte l’amore non basta. Soprattutto nella coppia.

E comunque, quando parliamo di amore, siamo davvero sicuri di parlare di questo sentimento al suo stato più puro?

 

E’ infatti diffusa in molte coppie una dinamica particolare, molto sottile e non sempre di facile individuazione. Mi riferisco alla dinamica relazionale comunemente nota come sindrome della crocerossina o del "io ti salverò".

come funziona?

Uno dei due partner di solito è una persona fragile, senza equilibrio, con evidenti limiti emotivi e relazionali. Spesso si tratta di vere e proprie personalità con disturbi psicologici di rilievo, a volte accompagnati per esempio da abuso di sostanze o altre forme di dipendenza patologica (in quest’ultimo caso si parla di co-dipendenza, per cui si diventa in qualche modo dipendente dalla dipendenza del partner).

 

L’altro partner tende invece ad apparire più sano, più equilibrato, più in contatto con i propri e gli altrui sentimenti e in qualche modo sembra quello tra i due che letteralmente “traina” l’altro affinché il rapporto di coppia migliori o comunque non si chiuda.

 

Alcune importanti premesse:

 

 - sia l’uomo che la donna possono ricoprire entrambi i ruoli: si tende infatti a pensare che siano principalmente le donne a “curare” e a “salvare” gli uomini, ma anche molti uomini diventano a tutti gli effetti dei “crocerossini”;

 

 - il partner che viene “curato” può, come detto, avere serie difficoltà a livello psicologico, ma spesso si tratta di persone che, pur non comportandosi in modo manifestamente negativo nei confronti del partner (distacco, svalutazione, violenza), non riescono ad amare fino in fondo, a lasciarsi andare; non riescono a dare in modo adeguato (e adulto) tanto quanto ricevono in termini affettivi. Sono limitati, bloccati, congelati affettivamente e a nulla servono i tentativi del partner per farli cambiare;

 

 - l’espressione “crocerossina” potrebbe far pensare ad una connotazione offensiva, direi quasi dispregiativa, come a dire “che stupida quella persona, illusa, pensa di poter cambiare gli altri, chi glielo fa fare, contenta lei, evidentemente le sta bene così, se lo merita” e via discorrendo.

        

In realtà il partner “salvatore” è lui in primis vittima di questa modalità. Modalità che nulla ha a che vedere con uno stato di felicità e benessere. 

Si può minimizzare e semplificare pensando che sia una scelta libera quella di “prendersi cura del partner problematico”, invece di libero c’è ben poco: molte persone arrivano letteralmente ad annullarsi per l’altro e questa non può mai essere una scelta davvero libera e consapevole.

da dove nasce questa modalità relazionale?

Ha origini molto lontane, nell’infanzia della persona. Se torniamo indietro nella storia di vita di queste persone, troveremo certamente dinamiche familiari in cui i genitori, in modo per lo più inconsapevole, non hanno accolto pienamente i bisogni affettivi del bambino e, anteponendo i loro bisogni e le loro fragilità, lo hanno sovraccaricato emotivamente, iper-responsabilizzato, adultizzato. 

Sostanzialmente lo hanno utilizzato come sostegno, come contenitore, come “cura” appunto del proprio disagio e del proprio malessere. Ed ecco che questa modalità, appresa nell’infanzia, e che all’epoca era legata alla necessità di sopravvivere del bambino, oggi viene agita anche da adulti. 

Quindi in queste coppie non c'è amore? Il partner "salvatore" non è mosso dall'amore?

Certamente oltre al sentimento verso l’altro, questo amore viene inquinato, appesantito dalle profonde spinte inconsce di cui sopra e forse per questo potrebbe non essere amore: mi annullo per te e ti curo non come forma pura di amore, ma come reiterazione di modalità disfunzionali del mio passato che perfettamente si sposano oggi con la tua personalità.

 

Sindrome dell’ “io ti salverò” dunque, ma forse non è errato definirla sindrome dell’ “io non mi salverò”.

Solitamente la persona “salvatrice” ritiene che il partner, nonostante le evidenti mancanze nei suoi confronti, “a modo suo la ama”…

 

Ebbene, non esiste un modo personale di amare. Esistono certamente modi diversi di manifestare l’amore, ma questo è un altro discorso. L’amore è una cosa seria, con caratteristiche specifiche. 

O c’è o non c’è. 

 

Certamente è protezione, a volte anche sacrificio, ma un amore verso l’altro che calpesta il nostro bisogno di essere amati, compresi e rispettati, credo che non possa definirsi amore. E’ altro. Succede infatti molto spesso che quando il partner da salvare cresce, migliora rispetto alle sue difficoltà emotive (per esempio in seguito ad un percorso di Psicoterapia personale), il partner curante, paradossalmente, non reagisce come ci si aspetterebbe: è felice, ma non del tutto, perché il suo “ruolo”, per il quale aveva scelto proprio quel partner e non un altro, viene a cadere. 

 

La coppia può così entrare in crisi e la relazione chiudersi.

 

E comunque nessuno può cambiare davvero il proprio partner. Ed è giusto così, il peso sarebbe troppo grande.

 

Abbiamo tutti diritto di amare e di essere contraccambiati. Solo così una coppia può davvero funzionare e definirsi davvero una coppia unita, matura, vera.

 

Il partner non è un figlio, per il quale è naturale e doveroso provare un amore incondizionato che nulla chiede in cambio; se viviamo il partner come un figlio, allora non può essere il nostro partner, perché ne siamo il genitore.

 

E’ un discorso che può risultare cinico, duro, ma ritengo che solamente all’interno di una cornice di mutuo scambio affettivo e sostegno possa nascere e alimentarsi il fuoco dell’amore.

Amor, ch'a nullo amato amar perdona… 

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